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> Aspettando Godot

produzione / comunicazione / promozione

di Samuel Beckett

 

Regia Filippo Gili

 

con

Giorgio Colangeli, Francesco Montanari, Riccardo De Filippis, Giancarlo Nicoletti

 

In collaborazione con Viola Produzioni

 

per gentile concessione di Editions de Minuit

Foto Luana Belli

Video David Melani Scene Alessandra De Angelis - Giulio Villaggio

Disegno Luci Daniele Manenti

Direttore di Produzione Sofia Grottoli 
Aiuto Regia Luca Di Capua - Luca Forte

Ufficio Stampa Rocchina Ceglia

Distribuzione & Promozione Altra Scena Art Management

 

Scheda Spettacolo

Giorgio Colangeli e Francesco Montanari sono un Vladimiro e un Estragone d’eccezione nella messinscena a pianta centrale di Filippo Gili di uno dei testi caposaldo della drammaturgia mondiale, quell’Aspettando Godot che continua a rivoluzionare il nostro modo di sentire e intendere il teatro e l’uomo. Al loro fianco, Riccardo De Filippis e Giancarlo Nicoletti prestano voce e corpo a Pozzo e Lucky, completando un cast straordinario. Lo spettacolo ha debuttato allo Spazio Diamante di Roma nel Marzo 2017, ottenendo numerosi riscontri dalla critica e un grande successo di pubblico. Aspettando Godot è una produzione Altra Scena in collaborazione con Viola Produzioni.

Due uomini vestiti da vagabondi, Estragone e Vladimiro attendono sotto un albero l’arrivo di un certo Godot. Sulla strada passa il proprietario terriero Pozzo che tiene al guinzaglio il suo servitore, Lucky. Cala la sera e Godot non si è visto. Un ragazzo riferisce loro che Godot non potrà venire, ma che verrà sicuramente domani. I due, prendono in considerazione l’idea di suicidarsi, ma rinunciano. Pensano di andarsene, ma restano. Attendono pazientemente sotto l’albero l’arrivo di Godot. Il sole sorge. Passano nuovamente Pozzo e Lucky, divenuti rispettivamente cieco e muto. Sull’albero sono spuntate due o tre foglie. Anche stasera Godot non potrà venire ma arriverà sicuramente l’indomani. I due manifestano l’intenzione di andar via ma, in realtà, non si muovono dal loro posto, incarnando così la stasi, la mancanza di azione, l’incomunicabilità e paradossalità dei dialoghi che rappresentano l’essenza del teatro dell’assurdo di Beckett.

note di regia

Aspettare Godot come aspettare ‘il domani’. Un domani che ‘ogni oggi’ sarà domani. L’ombra che non s’afferra. Il cane che non se la può mordere, la coda. Nella trappola psichica di un futuro talmente vicino, ‘domani’, da sembrar prendibile. Ma che nessuno ha davvero voglia di veder comparire. Perché se li mettessimo sotto ipnosi, Didi e Gogo esprimerebbero la paura di vederselo inverato, questo domani, questo agire, questo futuro dietro un angolo costante e tondo, continuo, prossimo ma non afferrabile. È il paradigma massimo di un ponte costante, questo testo; che come nessun’altra opera rappresenta lo ‘statuto opaco’ della contemporaneità. E non si può che tentare di favorirla, questa scarsa nitidezza. Mettere in scena la molle, elastica contraddizione fra positivismo del cervello e quel medioevo della psiche che vuole fermarla, la realtà: fosse anche una disgraziata realtà. Perché più del domani, sia il ‘forse’, a trionfare. Uno stagno mistico del vivere che la fischietta, la paura di morire; bleffandola di un infinito, ripetitivo oggi ‘aperto’. 
Sotto un albero ‘unica cosa viva’.
E sopra una terra mobile, spaventata, angosciata d’essere la casa, di questa perversità.

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