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> Kensington Gardens

produzione / comunicazione / promozione

Drammaturgia & Regia Giancarlo Nicoletti

con

Annalisa Cucchiara , Luca Notari, Riccardo Morgante, Cristina Todaro, Valentina Perrella, Alessandro Giova, Eleonora De Luca, Francesco Soleti

Segnalazione "Premio Hystrio - Scritture di Scena 2016"

In collaborazione con Planet Arts Collettivo Teatrale

 

Foto Luana Belli

Grafica Paolo Lombardo

Video David Melani

Consulenza Musicale Marco Bosco
Aiuto Regia Sofia Grottoli

Ufficio Stampa Rocchina Ceglia

Distribuzione & Promozione Altra Scena Art Management

Scheda Spettacolo

Kensington Gardens è l’ultimo capitolo della Trilogia del contemporaneo di Giancarlo Nicoletti, preceduto da#salvobuonfine e Festa della Repubblica, ed è stato recentemente premiato nell’ultima edizione del “Premio Hystrio – Scritture di Scena”. Il progetto è portato in scena dallo stesso nucleo attoriale dei precedenti lavori della Trilogia, fra cui Valentina Perrella, Alessandro Giova, Riccardo Morgante , Cristina Todaro e Francesco Soleti. A questi si uniscono l’esperienza e la professionalità di Annalisa Cucchiara (protagonista storica di importanti produzioni italiane, fra cui il tour internazionale di “Pipino il Breve”, e di “Hello, Dolly!”, “Caino e Abele”, “My fair Lady”, “La Baronessa di Carini”, “Blood Brothers”), Simone Leonardi (“Battuage”, “Priscilla, la regina del deserto”, "La Bella e la Bestia", “West Side Story”, “Newsies”, “Full Monty”) ed Eleonora De Luca, protagonista del nuovo film “L’ora legale” con Ficarra & Picone, in uscita a Gennaio 2017 al cinema.

Londra: un futuro, prossimo o remoto, e un Partito xenofobo al governo. Una legge che espelle tutti i non inglesi dal suolo britannico, ronde per le strade, sugli immigrati si spara a vista. Sei italiani ottengono di evitare il rimpatrio, isolati in una villa del parco di Kensington, in attesa di grazia. Il figlio e la sorella di una cantante in conflitto con la crisi di mezza età e col suo compagno più giovane. Un esame di cittadinanza per scongiurare l’estradizione, un chimico, sua moglie. Pianoforti, pranzi, bicchieri di alcol, cene, canzoni d’autore, un magistrato e una giovane inglese che sogna la fama. Le distanze, i confini della propria identità e l’attesa illusoria del futuro si confondono alle vicende di un’umanità senza fissa dimora e bandita da sé stessa.

Aspettare Godot come aspettare ‘il domani’. Un domani che ‘ogni oggi’ sarà domani. L’ombra che non s’afferra. Il cane che non se la può mordere, la coda. Nella trappola psichica di un futuro talmente vicino, ‘domani’, da sembrar prendibile. Ma che nessuno ha davvero voglia di veder comparire. Perché se li mettessimo sotto ipnosi, Didi e Gogo esprimerebbero la paura di vederselo inverato, questo domani, questo agire, questo futuro dietro un angolo costante e tondo, continuo, prossimo ma non afferrabile. È il paradigma massimo di un ponte costante, questo testo; che come nessun’altra opera rappresenta lo ‘statuto opaco’ della contemporaneità. E non si può che tentare di favorirla, questa scarsa nitidezza. Mettere in scena la molle, elastica contraddizione fra positivismo del cervello e quel medioevo della psiche che vuole fermarla, la realtà: fosse anche una disgraziata realtà. Perché più del domani, sia il ‘forse’, a trionfare. Uno stagno mistico del vivere che la fischietta, la paura di morire; bleffandola di un infinito, ripetitivo oggi ‘aperto’. 
Sotto un albero ‘unica cosa viva’.
E sopra una terra mobile, spaventata, angosciata d’essere la casa, di questa perversità.

note di regia

note di regia

In Kensington Gardens si tenta l’impianto di contesti e personaggi tratti da Cechov - e più specificatamente da alcuni caratteri e dall’intreccio de “Il Gabbiano” - su una piattaforma testuale e situazionale di teatro contemporaneo. Partendo da quel “territorio del possibile” intrinseco alla drammaturgia cechoviana, si sviluppa un discorso più ampio ed estremamente attuale sui paradossi dei legami affettivi e di sangue, sulle speranze insoddisfatte, sull’incapacità di ammettere lo stato delle cose, e sulle nozioni di Stato, libertà, identità culturale, razza. Una prova di “cechovizzazione” del contemporaneo, in cui Nicoletti sperimenta la sintesi, con il suo stile fortemente identitario, fra gli archetipi del classico e le urgenze del contemporaneo, nel suo lavoro più inquietante, maturo e traboccante di realtà drammatica e tragicomica.

Quattro mesi prima del 23 giugno 2016, giorno in cui i cittadini della Gran Bretagna rispondevano «si!» alla Brexit con un referendum consultivo, lo spettacolo Kensington Gardens debuttava al Sala Uno Teatro di Roma. Il testo di Giancarlo Nicoletti, ultimo capitolo della sua Trilogia del Contemporaneo dopo Festa della Repubblica e #salvobuonfine, riusciva già a guardare oltre. Non solo nello sviluppo storico che di lì a poco avrebbe portato il 51,9% del Regno Unito a rivalutare la sua permanenza nell’Unione Europea. Il testo di Nicoletti, ambientato in una Londra dalla quale un partito xenofobo ha bandito fisicamente i non inglesi, compie un altro scarto: impiantare l’angoscia e l’autoanalisi dell’uomo moderno descritto da Anton Čechov nello smarrimento sociale dell’uomo contemporaneo, alieno e alienato da una società che sovrasta, ghettizza e poi disperde.

Luca Lotano

Cechov abita nei giardini di Kensington. Un rifugio, forse l'ultimo approdo per un'umanità senza fissa dimora e bandita da sè stessa. Prende il via da quel "territorio del possibile" che caratterizza la drammaturgia cechoviana, Kensington Gardens, testo ambientato in un futuro prossimo o remoto. Il riferimento all'intreccio e ai personaggi de Il Gabbiano si fa stringente, mescolandosi alle urgenze del contemporaneo in un racconto intriso di realtà drammatica e tragicomica. 

La Repubblica

A. V.

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