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Un Finale di Partita per il 2018

  • Immagine del redattore: Admin
    Admin
  • 31 ott 2017
  • Tempo di lettura: 2 min



Dopo il successo di Aspettando Godot nella stagione 2016/17, Filippo Gili prosegue il suo originale personale percorso di ricerca attraverso le pieghe della drammaturgia beckettiana affrontando, sempre dalla sua personalissima angolazione, un altro dei capolavori del maggiore esponente del teatro dell’assurdo, Finale di Partita. Ancora una volta protagonista dell’operazione è la straordinaria attorialità di Giorgio Colangeli, che presta voce e corpo al ruolo di Hamm, affiancato da Giancarlo Nicoletti in quello di Clov. Il nuovo progetto di produzione di Altra Scena Art Management sarà presentato in anteprima a Marzo 2018 allo Spazio Diamante di Roma, preannunciandosi come uno dei grandi appuntamenti della stagione 2017/18.

NOTE DI REGIA

Il mio regno per un netturbino. Eccola qui. Tutta in questa frase. Tutta in questa frase la sintesi e l'apoteosi della postmodernità di Finale di partita. Attraverso il canto di Hamm, perfetto innesto di Vladimiro in Lear, che ricama, col suo compagno di merende, la fine delle grandi narrazioni, la fine delle grandi idee. Per far diventare grande, in poco più di un'ora, solo la retrospettiva ridicola di ogni esistere, di ogni morire, di ogni soffrire. Siamo al culmine. Qui Beckett raggiunge i novemila, trasformando il mondo in una stanza grigia con due finestre alte. Ridicolizzando, così, la voglia di timbrare il cartellino della superiorità, della grandezza, della nobiltà del dolore, dell'immensità del morire (perché Clov, per arrivare a quei vetri a raccontarsi il nulla d'altri mondi, deve prendere una scala, e su questa arrampicarsi), ma non riuscendo del tutto nell'intento. O meglio, non volendovi, riuscire. Perché, ad onta di questo water in cui egli riesce sempre ad infilare ogni respiro, ogni afflato, ogni vastità, se ne esce sempre con la sensazione che la merda, ovvero il netto, faccia nascere anche una tara di gloria. Non la gloria del bene e del male. Non la gloria della storia, dell'infelicità, di Cristo e di un bimbo ucciso. Ma la gloria di ridurre tutto questo come Giordano Bruno ridusse il mondo e la sua centralità.

Altro che minimalismo. Altro che assurdità. Solo la tac di una cosa che, la vita, a guardarla attentamente, non si racconta come minima e assurda, ma, in quanto minima e assurda. Con la più assoluta naturalezza, la più dissoluta semplicità. Perché i simboli vanno recitati come l'aria che si respira. Perché i genitori di Hamm non sono rappresentati in due bidoni dell'immondizia, ma psichicamente vissuti, dal figlio, in quei bidoni. Al di là dell'amare, al di là del vedere.

Finale di partita è quel luogo, quella carne viva in cui, svelando una miseria, si riconosce una grandezza. E' la freudiana catarsi; quella in cui, pattuita, dell'immensità del male e dell'amare, la loro inesorabile irrisorietà, si esce, dall'ultima seduta con la sensazione di potersela finalmente fare una passeggiata leggera, su questo mappamondo, su questa mappavita.

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